LA GIOSTRA DELLA MEMORIA MUSEUM DI SAN SALVO
di Domenico Carola
“Se c’è un mondo in cui l’evoluzione dei tempi e l’avvento della tecnologia si sono rivelati rivoluzionari, nel senso più intrinseco del termine, questo è senza dubbio quello contadino” E’ l’incipit dell’intervista resa dalla prof.ssa Angiolina Balduzzi, proprietaria, ideatrice e curatrice dello splendido museo della Giostra della Memoria di San Salvo.
Ergo ritengo che la cultura rurale è l’insieme e, nello stesso tempo la sintesi di tradizioni ed insegnamenti legati al territorio, alla natura e alla vita in generale che attraverso un processo storico consente a un gruppo di definire il suo mondo particolare, compresa la visione della vita e della morte in senso spirituale.
Nel museo della Giostra della Memoria, a rileggerle oggi, certe pratiche del passato assumono una connotazione di non facile interpretazione, se proviamo ad applicare le categorie sulle quali si fonda la società moderna.
Che è sì la società dei consumi, ma anche quella dell’attenzione ad ogni forma di sensibilità, talvolta assolutamente condivisibile, talaltra un pò eccessivamente spinta. Ed è in questo contesto di contrasti che si colloca il museo nel quale si richiamano tradizioni contadine perché derivano da un passato e da un retaggio che viene a volte dimenticato.
Cosa è la tradizione professoressa Balduzzi?”
A primo acchito mi viene in soccorso una metafora.
Una tradizione potrebbe essere il non dimenticare.
Ciò significa mantenere fede al ricordare.
Ma il ricordo si perde nel tempo.
Il tempo fagocita.
Incita, traduce, trasforma.
Non tradisce.
Il tempo non è mai immobile.
Agostinianamente non sapremo mai cosa è il tempo.
La tradizione, invece, è la trasformazione di un atto, un gesto, un’azione in memoria, ovvero un ricordo che entra nella memoria per abitarla.
La tradizione è una memoria dentro il tempo.
Immutabile, la tradizione si tramanda, si rimanda tra generazioni di epoche e di civiltà e riporta sulla scena ciò che si è vissuto.
Nulla a che fare con il rimpianto.
È la convivente della nostalgia intesa come “nostos”.
Questo pensiero condensa e racchiude l’importante proposta del museo della Giostra della Memoria che dovrebbe farci riflettere sopra tutto in un tempo sradicante e di sradicamenti.
Dovrebbe farci meditare anche sulle diverse sfaccettature che la memoria nei popoli rappresenta.
Le tradizioni popolari sono modelli di cultura che la tradizione stessa nel viaggio tra tempo e memoria ha trasformato in “ricordanze”.
La memoria di una civiltà che segnala una precisa identità.
Le feste, i giochi, la piazza, il vicinato, le processioni, i cortei, i riti, il “cunto” intorno al braciere di inverno o insieme davanti al camino oppure d’estate davanti casa, come in qualche luogo accade ancora, per raccontare e ascoltare.
Una tradizione costituita da fatti, azioni, regole e luoghi.
Anche perché il luogo è parte integrante dei riti.
Una tradizione è un rito che si ripete.
Ripetere è tutto nella cultura popolare, la quale risponde direttamente al quotidiano dei popoli ed è parte integrante della antropologia.
Ma bisogna, anzi è necessario interagire con la modernità.
Le tradizioni popolari restano, appunto, nell’immaginario che si ripetono sotto forma non solo di rito, e di gestualità del rito, ma sotto la simbologia dei miti.
Sono i miti che alla fine si dichiarano.
Noi parliamo il linguaggio dei miti.
Le tradizioni popolari nei vari passaggi reali e metaforici resistono all’urto di una pressante contemporaneità attraverso ciò che possiamo definire archetipi delle civiltà.
Perché tradizioni? Perché popolari?
E’ la cultura che si esprime nei diversi saperi.
I saperi sono le conoscenze che solcano i secoli, le epoche, le età e diventano manifestazioni di una consapevolezza.
Soltanto quando la tradizione assume la “virtù” della consapevolezza si trasforma in conoscenza.
Le tradizioni popolari sono la conoscenza di un tempo nel quale i popoli hanno vissuto le loro età.
Detto in questi termini si può pensare subito che una tradizione deve spesso confrontarsi, o fare i conti, con una metafisica delle civiltà.
Resistono perché le tradizioni abbandonano la cronaca e diventano memoria.
Il “popolare” come concetto è il dato che “una volta” erano appartenenza dei saggi ed erano diffusi nel ceto cosiddetto popolare.
Oggi è la memoria che ha senso.
Ecco perché la tradizione è una memoria che resta nella ciclicità del tempo.
La Giostra della Memoria è una manifestazione di essa.
E’ il ricordo della vita dei campi.
È l’uccisione del maiale nella cultura contadina.
È la processione per ogni tipologia di ricorrenza.
Il folclore è sempre più una manifestazione che raccoglie i segni della memoria popolare.
Nel museo della Giostra della Memoria convivono tradizioni popolari e folclore che costituiscono l’inserto fondamentale dell’antropologia e dei suoi fenomeni che caratterizzano la conoscenza e lo scavo nelle identità dei popoli e che diventano segno autentico delle civiltà.
In ogni stanza del museo entra sempre in gioco il valore delle radici.
Senza la (ri) conoscenza delle radici non si hanno tradizioni.
Riconoscere e dare senso alle radici è abitarsi nella memoria che diventa ed è identità.
Abitare la nostalgia non è essere nostalgici di un qualcosa che non può esistere più.
È, al contrario, darsi appartenenza.
Quella vera appartenenza che è tradizione.
I popoli nelle civiltà vivono di memoria, ma per vivere di memoria hanno bisogno di riappropriarsi della nostalgia.
Dovremmo avere nostalgia della nostalgia del “nostos”.
Un paradosso?
No.
Si tratta di esplorarsi in quello specchio che è l’esistere delle eredità.
Una immaterialità che diventa infinito, ma anche indefinibile.
La tradizione è un bene culturale che pone a confronto il ricordare la memoria con le azioni, i fatti e gli oggetti.
Nelle stanze della Giostra della Memoria è l’immateriale che recupera il materiale per renderlo reale e immaginario nel viaggio delle esistenze.
Motivo per il quale la visita a questo museo è un breve ma ricco e coinvolgente viaggio indietro nel tempo per omaggiare e non dimenticare le nostre radici, forza ed ispirazione per il futuro.
In fondo “un paese vuol dire non essere soli”.
Come sosteneva Cesare Pavese.
Ecco perché la tradizione è la memoria che mai ci rende soli.”